Non tutto quel che suona è musica?
Gusti musicali: percezioni e (pre)giudizi
La rubrica dedicata all’ascolto consapevole: perché ti piace una canzone? Perché non sopporti quel genere? Non ti piace o non lo capisci?
E se non lo capisci, è perché non hai consapevolezza del suo linguaggio?Un viaggio nella comprensione dell’ascolto dei brani,
La redazione di BLOM
a cura di Nicolò Ugolini
Cosa significa ascoltare musica?
Un vecchio problema
Si dice spesso, tra musicisti e musicofili, che uno dei più grandi vantaggi di saper suonare uno strumento e di capirci qualcosa di musica sia essere in grado di comprendere realmente che cosa accade in un brano. Questo può voler dire riuscire, per esempio, a identificare gli strumenti presenti, la tonalità o la suddivisione ritmica.
D’altro canto, questo “atteggiamento analitico” sembra precluderci definitivamente la possibilità di ascoltare in modo, per così dire, ingenuo qualsiasi tipo di musica. Siamo destinati a non godere più della musica in quel modo irriflessivo di cui eravamo capaci proprio quando di musica non capivamo nulla. Ma non ogni speranza è perduta. O forse sì, visto che potrebbe venire dal nemico giurato di ogni strumentista: la musica elettronica. Altrove tornerà utile precisare meglio cosa intendiamo con questa espressione. Per ora, pensate pure a quel genere elettronico che proprio non riuscite ad ascoltare per più di dieci secondi: potrebbe nascondersi dell’oro anche lì.
Mettendo ora da parte lo scetticismo, e senza discutere della inferiorità di un genere rispetto ad altri, partiamo da una domanda quasi banale: perché alcuni generi ci piacciono e altri no?
Solo questione di gusti?
Risposta ovvia: questioni di gusto. Risposta (parziale) meno ovvia: ascoltiamo cose diverse cercando cose diverse.
Per esempio, si può essere fan sfegatati di Zucchero e allo stesso tempo apprezzare Monk. Ascoltare i Meshuggah e perdere delle ore ascoltando Beethoven non è poi così strano.
Proprio perché “conosciamo le regole” con cui valutare un certo tipo di musica siamo portati in automatico ad analizzare qualsiasi brano con quelle regole che abbiamo appreso. Ed è qui che entra in scena la musica elettronica (come detto, rimaniamo sul generico, senza addentrarci nei numerosi sottogeneri).
Artisti e generi diversi colpiscono per ragioni diverse (il fascino di un testo, la complessità della struttura armonica, il virtuosismo). In ognuno di questi casi, sappiamo già “cosa stiamo cercando”, cioè attraverso quale criterio siamo in grado di valutare come buona o cattiva la musica che ascoltiamo. Ad esempio, se suono la chitarra da qualche anno apprezzerò su moltissimi livelli un assolo di Steve Vai che a un profano rimarrebbe del tutto indifferente.
Siamo tutti colpevoli di aver sminuito, rifiutato quando non addirittura odiato questo tipo di musica (e l’amico o presunto tale che la mette a tutto volume alle feste), ma quello che vorrei suggerire è che semplicemente ci mancava il criterio per giudicare correttamente questo genere.
Qualche conclusione
Da ciò, due conseguenze: in primo luogo, non avendo alcun parametro per affrontare questo tipo di musica non siamo in grado di analizzarlo come facciamo con i generi che ascoltiamo più di frequente, e quindi di potere goderne in quel modo ingenuo di cui sentiamo spesso la mancanza. In seconda battuta, sorge spontaneo chiedersi quali siano quei principi in base ai quali giudicare la famigerata musica elettronica.
Con questa rubrica cercheremo nei prossimi articoli di farci qualche idea in più.