Laa custom e i prodotti artigianali
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In attesa delle grandi novità annuali presentate al NAMM Show di Los Angeles 2020, nelle settimane precedenti il Natale alcuni allievi della Perform School of music sono stati gli inviati responsabili di una bellissima intervista a Carlo Sorasio, per scoprire qualcosa in più della sua Laa Custom e i prodotti artigianali.
Gli allievi sono stati selezionati tra quelli frequentanti il corso di Music Business: Marilyn Vincenzo e Simone Melissano.
L’intervista era legata alle attività interdisciplinari del corso tenuto da Alessandro Liccardo che fornisce una formazione lavorativa ad ampio spettro.
Carlo Sorasio ha aperto le porte della LAA Custom e del suo laboratorio che si trova ancora nella sua città natale – Torino, mostrando gli attrezzi del mestiere e tutto ciò che serve per coltivare un sogno, mostrando che non si può guardare avanti senza tenere a mente da dove si è partiti.
Il direttore
Alex Bonacci
M : Come nasce l’idea della LAA Custom?
C: E’ nato un po’ per gioco, per scherzo, sono un musicista anche io, all’epoca avevo iniziato a costruire delle cose per me, ho concluso il mio percorso di studi e le offerte di lavoro non erano allettanti così ho deciso di provarci, cercare di trasformare quello che era un hobby in un lavoro.
Sappiamo che sei un chitarrista autodidatta.
Si, non ho mai studiato seriamente lo strumento, dal punto di vista didattico, ho sempre e solo suonato.
I tuoi prodotti nascono da un’esigenza personale di andare incontro a nuove sonorità?
Si, andare incontro al mio modo di suonare, che è legato ai musicisti che ascolto, tutta la musica anni ’70, ’80, quel modo di suonare molto diretto, con pochi effetti, sfruttando più la dinamica, più suoni possibili solo con le mani, lo strumento e amplificatore, e quindi i miei prodotti si basano su quella filosofia.
Quali sono stati i tuoi primi obiettivi aziendali, quando hai capito che Laa Custom e i prodotti artigianali potevano diventare la tua attività?
All’inizio è stato tutto molto caotico, ero molto giovane e senza esperienza, non c’erano neanche degli obiettivi all’epoca, era un “partiamo e facciamo”. Crescendo e sviluppando le cose si è cercato prima di avere una buona base nel mercato italiano, poi andare fuori. L’obiettivo quindi è stato proprio espandersi e avere collaborazioni, precisamente uno scambio, con musicisti che erano anche i miei idoli. Per me è sempre stato importante avere dei feedback da loro, a volte me lo hanno anche stroncato il prodotto.
Quanto è difficile entrare nelle idee di un musicista che cerca un determinato suono dal proprio strumento, come si estrapola e si mette in pratica questa idea?
Dipende dalla persona, dalle esperienze che ha una persona. All’inizio si cerca sempre il suono di qualcun altro, si cerca di copiare il suono di quel chitarrista o di incorporare il setup di quel chitarrista per avere lo stesso suono, ma non è così, perchè quel suono è frutto del background di quel chitarrista, del suo tocco, parte tutto dalla persona.
Io cerco di spiegare che i suoni si possono ottenere in modi diversi, con strumentazione diversa e un’attitudine a suonare in un certo modo.
I miei prodotti suonano molto in base a chi li suona, tendenzialmente sono neutri, è la componente umana che alza il loro valore.
Come nasce un prodotto LAA Custom?
La progettazione a volte è molto lunga a volte molto diretta, dipende molto dalle situazione. Possiamo dire che c’è quasi sempre un percorso da seguire da quando è finito il prototipo al prodotto finito, c’è tutto un percorso di ingegnerizzazione.
Le idee mi vengono vedendo prodotti concorrenti, dai clienti, da alcune chiacchierate o a volte solo dai miei gusti del momento. Dopo l’idea si comincia a buttare giù una bozza di progetto, capire le esigenze, l’ipotetico prodotto, si sceglie quale può essere la tecnologia adatta, si possono prendere varie direzioni ingegneristiche per ottenere il meglio.
In questo momento, ad esempio, sono a lavoro su una specie di overdrive che vuole ricalcare i suoni dei fender storici.
Nel 2014 entri in collaborazione con la nota azienda MXR sviluppando per quest’ultima l’overdrive “il Torino”; come si è realizzato questo accordo?
E’ stata una sorta di “incidente di percorso” perché mai avrei immaginato agli inizi di collaborare attivamente con una realtà come quella della MXR. Era un periodo buono in quanto il marchio era alla ricerca di collaboratori per progetti estemporanei per cui inviando delle proposte ad essere accettato è stato il prototipo del “Torino”. All’inizio ero anche intimorito al confronto con la possibilità offertami però poi ho capito che non c’era bisogno di essere troppo timorosi. In ogni caso, questo ha riportato in vita gli obiettivi iniziali che prevedevano di entrare in contatto con l’estero dandomi la possibilità di incontrare personaggi chiave che hanno riposto fiducia in me facendo e mi hanno reso parte della loro rete di contatti.
Intento della LAA Custom è anche quello di dar lustro all’artigianato “Made in Italy”; come si traduce questo in termini di comunicazione del proprio brand?
Fatta eccezione per il suddetto “Torino” non ho mai caratterizzato i miei prodotti con nomi italiani ma ho sempre cercato di far passare il messaggio che sono prodotti nati in italia, sviluppati da un italiano, e questo è stato sempre abbastanza sufficiente. Collegare me, il mio nome, i miei prodotti all’essere italiano sono diventati sinonimi di trasparenza e qualità.
Entrando nel cuore della nostra intervista ti poniamo una domanda comune a molti: qual è il segno distintivo delle produzioni firmate LAA Costum? In cosa si differenziano da ciò che offre il mercato?
A livello funzionale non ci sono grandi differenze. Da circa tre anni ho iniziato a mettere a punto una nuova tecnologia che deriva da un altra mia passione quella per lo studio dei trasformatori, una cosa molto nerd per carità, lo riconosco. Tale progetto è nato dall’idea di voler miniaturizzare i trasformatori, ossia gli strumenti che permettono di dar colore al suono nella fase di registrazione studio, ed inserirli all’interno degli stessi pedali in modo tale da anticiparne gli effetti sonori. Questi oggettini che chiamiamo “trasformatori” fanno vere e proprie magie in quanto dal punto di vista elettronico e audio perchè cambia la loro risposta in base al segnale che arriva e al livello del segnale e colorano in modo molto gradevole l’ascolto. Questo mio sviluppo dei trasformatori all’interno dei pedali è uno dei miei ultimi segni distintivi che identificano la produzione LAA Custom rendendomi fiero del risultato raggiunto considerato che poche aziende hanno adottato internamente tale tecnologia.
Quali saranno i nuovi orizzonti a cui la LAA Custom guarderà? Cosa vedi nel futuro della tua azienda?
Bisognerà sicuramente guardare bene il mercato. Attualmente c’è questa moda e abitudine di andare ad utilizzare il digitale, che è una cosa molto positiva secondo me, perchè permette in certi casi di avere grande flessibilità. In altri ritengo che chi non ha mai provato un amplificatore vero rischia di rimanere spiazzato da questa enorme proposta. Quindi parlando di futuro, l’idea è quella di far convergere la flessibilità del digitale ai circuiti analogici. A tal proposito, attualmente sono a lavoro su un progetto di cui non posso parlare troppo, ma che tratta una nuova tecnologia applicata agli effetti dei pedali, per poter gestire in maniera totalmente digitale il suono analogico. Altra direzione su cui avanzare è un nuovo prodotto riguardante le basse frequenze che riguarda per l’appunto i bassisti e il loro bisogno di interagire con più effetti di suono, un lavoro per niente scontato direi.
Cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere la tua stessa carriera?
Fare un sacco di errori e impare dagli stessi, perchè è l’unico modo di riuscire a sviluppare la propria identità e quindi i propri prodotti. Anche dal punto di vista del design elettronico vale lo stesso principio, non basta solamente applicare la pura teoria dell’elettronica ma rivisitare e provare magari trovando valori aggiunti nei tentativi di sviluppo.
Quanto ha significato per te entrare in contatto con le grandi realtà extraterritoriali e le suddette personalità celebri?
Sicuramente soddisfazione ma poi ci si rende conto che chi fa questo mestiere, la maggior parte delle volte, pur essendo considerati star o personaggi pubblici in realtà sono persone tranquillissime con le quali si riesce a parlare benissimo trascurando barriere d’età e pronte a condividere naturalmente la propria esperienza professionale. Ciò fa pensare che questo sia il modo più giusto per interagire col prossimo.
Un ultima domanda: quanto è difficile iniziare in questo campo? C’è un budget di partenza a cui far riferimento?
Io ho iniziato praticamente da sotto zero, senza nemmeno sapere cosa fosse la parola “marketing”. Oggi se dovessi ripartire lo farei in modo del tutto diverso. Quello su cui ho lavorato da un certo punto in poi è stato creare una mia storia, che oltre a raccontare i miei prodotti raccontasse anche la mia esperienza personale senza omettere tutti gli errori commessi nel mentre. Per rispondere completamente alla domanda direi che prima di elaborare un business plan da 0 bisogna capire a che livello professionale si vuol lavorare. Si può partire anche dalla propria cameretta con pochi elementi che si trovano a pochissimo prezzo.